venerdì 20 gennaio 2017

IL MIO VULCANESIMO FAI DA TE (volume #1)

Islanda, agosto 2015
In seguito, sarebbe stata la location prescelta per alcune scene iniziali di un episodio di Star Wars. Io per ovvi motivi al tempo non ne ero al corrente, e nemmeno lo seppi fino ai primi giorni di dicembre del 2016 quando Rogue One uscì nei cinema e proprio davanti al grande schermo mi nacque spontanea la considerazione: «Ma io, su quel pianeta, ci sono già stato!». Quel pianeta era l'Islanda, e anche al di fuori della finzione cinematografica in un certo senso pianeta è una definizione che calza a pennello: l'Islanda è infatti quasi del tutto un mondo a parte, una terra fredda ed isolata in mezzo all'Oceano Atlantico, stretta nella morsa di ghiacciai grandi come province ma nello stesso tempo cotta a fuoco lento da scontrosi vulcani che complottano da milioni di anni un palmo sotto la superficie.
Riconobbi l'ambiente a prima vista: una pianura pressoché priva di vegetazione ad alto fusto e ricoperta a perdita d'occhio di polvere di lava nera, testimonianza di eruzioni passate, assai simile nel mio immaginario alla Terra di Mordor di tolkieniana memoria; un cielo plumbeo ed un'atmosfera perennemente ventosa, ma nello stesso tempo anche una visibilità perfetta fino all'orizzonte a causa dell'assenza di qualsiasi tipo di foschia; ad interrompere la monotonia, le poche macchie di intenso colore costituite dai colli verdi di muschio chiaro e quasi brillante. Un paesaggio che molti potrebbero dunque definire arido, sterile e perfino spaventoso: in verità, perfino in questo primordiale ed inospitale deserto freddo ho avuto modo di scoprire personalmente come la vita, sebbene a livelli pionieristici che ispirano talvolta un sentimento di commozione, si dà da fare in maniera inaspettata. Su queste sabbie nere spazzate dal vento può infatti crescere timido il tarassaco come sui prati di casa mia, insieme ad altre piccole e colorate infiorescenze dal temperamento eroico.
Il 2015 è stato l'anno del mio vulcanesimo-fai-da-te, e conservo di questi luoghi un ricordo legato prima di tutto alla severità degli elementi naturali che non concedeva sconti a nessuno, nemmeno nella parte centrale dell'estate: pioggia sferzante a caduta orizzontale che rendeva del tutto inutile il possesso di un ombrello (rimasto all'asciutto nel bagaglio per un'intera settimana); un vento indomabile che non manifestava alcun apparente scrupolo a strapparti di dosso perfino un coprizaino di tela correttamente montato; un amico quasi stordito dai brividi a causa di un vestiario troppo leggero ed in difficoltà dopo una lunga camminata nella neve marcia; il senso di pericolo incombente che ti assaliva improvvisamente quando si alzava la nebbia e diventava difficile distinguere il suolo innevato dallo spazio aperto che ti circondava; il tutto, condito da un pervasivo odore di uova marce che proveniva dalle numerose solfatare sparse qua e la in mezzo ai ghiacci.
Ho parlato di vulcanesimo,
Eyjafjallajökull, agosto 2015
sebbene nel corso della nostra breve avventura islandese di due anni addietro ci fossimo in realtà tenuti a rispettosa distanza da qualsiasi elevazione del terreno che potesse somigliare ad un cono infuocato. Una volta soltanto transitammo nelle vicinanze di una creatura particolarmente ostica che qualche anno prima aveva fatto parlare molto di sé: si tratta del vulcano Eyjafjöll, forse più conosciuto col nome di Eyjafjallajökull che più propriamente indica il ghiacciaio che lo ricopre. Situato all'estremo sud dell'isola, molti ne ricorderanno la straordinaria attività eruttiva culminata nel corso del 2010 quando una gigantesca nube di cenere si allargò nei cieli seguendo le correnti d'aria e mise a repentaglio per circa un mese l'efficienza del traffico aereo di tutta Europa.
Il programma originale del nostro viaggio prevedeva per l'ultima tappa una salita lungo i suoi fianchi innevati, l'attraversamento del valico di Fimmvörðuháls e la discesa finale passando per le cascate di Skógafoss. Il tempo meteorologico tuttavia dispose altrimenti, e la pioggia ci obbligò al rientro anticipato a Reykjavik. Un po' di delusione era inevitabile, attenuata forse un po' dal sollievo di poter finalmente acquistare in qualche negozio tutto il necessario per lavarmi i denti e farmi la barba: avevo infatti perso già nel primo rifugio del trekking la mia busta da viaggio con tutto il necessario per l'igiene personale (a parte un po' di sapone concesso con generosità dagli amici per la doccia d'ordinanza), ed il mio alito rappresentava dunque un problema di non secondaria importanza.
Guerre Stellari a parte, al mio rientro dall'isola di fuoco un'amica mi chiese come avevo trovato l'Islanda. Io risposi con tre aggettivi: severa, primordiale, affascinante. Proprio per questo, ho una gran voglia di ritornarci e spero che in futuro me ne capiterà l'occasione.

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