lunedì 9 gennaio 2017

DA PARIGI A CLAUT

Walter Bonatti a Claut (dicembre 2004)
Stava per concludersi l'anno 2004, ed anche allora faceva molto freddo e non aveva ancora nevicato. In quel di Claut (Dolomiti friulane) mi trovai faccia a faccia, non per caso bensì per una serie di favorevoli coincidenze, con una leggenda dell'alpinismo. A distanza di qualche tempo misi per iscritto un paio di articoli: uno lo ripropongo stasera.
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Andavo più o meno alle scuole elementari quando sentii per la prima volta parlare di Walter. Ricordo come la sua foto a mezzobusto fosse riprodotta sulla copertina di un vinile a 45 giri, omaggio editoriale del settimanale Epoca, intitolata Le voci degli animali. Facendo scorrere la puntina di diamante ascoltavo, con agghiacciante terrore, i versi di animali per me allora ignoti ed assetati di sangue come lupo, civetta, gorilla e felini di svariate taglie e gradi di ferocia. Il timbro vocale di Walter, che fungeva quasi da Virgilio in mezzo a quel girone dantesco di predatori, ispirava al contrario un notevole senso di fiducia.
Già allora mi chiesi come faceva quel tipo a stare così rilassato all'interno di una simile arca di Noè dove imperversavano i peggiori mostri del repertorio pauroso delle fiabe. Soltanto qualche anno dopo, col senno di poi, compresi invece come chiunque sia sopravvissuto indenne ad una notte all'addiaccio ad ottomila metri di quota non possa che sviluppare con l'universo una sorta di fratellanza che lo fa sentire parte del tutto: un privilegio destinato senza dubbio soltanto ai folli e ai saggi. E Walter di sicuro non era pazzo.
Devo invece all'amico Sergio di Claut il successivo incontro con Walter in carne ed ossa, avvenuto nel paesino friulano in un rigido inverno di quasi trent'anni dopo. Le premesse non sembravano incoraggianti, per essere sinceri: «Walter costa caro», mi aveva ammonito Luca manifestando scetticismo: «difficile che a Claut possano permettersi il lusso di invitarlo». Eppure era tutto confermato, tanto che pregai Sergio di rimediarmi mezz'ora per un breve colloquio, un'intervista, lo spazio per un paio di foto. «Vedrò quel che posso fare», fu la prudente risposta.
A Claut c'era un freddo becco. D'inverno il buio arriva in fretta e quella sera di dicembre, guarda caso, anche l'illuminazione pubblica aveva deciso di non funzionare. L'ospite d'onore aveva tuttavia espresso il desiderio di effettuare una breve passeggiata esplorativa delle stradine immerse nell'oscurità. Eravamo in quattro: Walter, Sergio, il presidente del locale Club Alpino ed infine il sottoscritto. Mancavano ancora quasi tre ore di tempo prima della conferenza, e Walter si era detto d'accordo sull'intervista: «Mi raccomando», mi aveva tuttavia raccomandato con severità, «Lasciamo perdere il K2, quella è una gran brutta storia».
Più tardi, sistemati con le gambe sotto a un tavolo, ammetto che mi presi invece la soddisfazione di barare: ci tenevo a rievocare ancora una volta la tanto discussa spedizione italiana in Karakoram del 1954, e gli domandai pertanto come si fosse preparato ad affrontare il problema delle alte quote. «Rischiammo», fu la disarmante risposta. «Sapevamo solo che i nostri predecessori erano morti, ed avevamo condotto qualche test in laboratorio. Una volta io ed Erich "cademmo" di colpo da 11.000 a 6.000 metri per un guasto tecnico: fu una botta tremenda, restammo intontiti per giorni».
Walter è abituato alla vita di mondo, ma si potrebbe giurare che ricevere la Legion d'Onore dalle mani del presidente francese Jacques Chirac e tenere una conferenza in uno sperduto paese di montagna sia per lui quasi la stessa cosa. «Le piacciono queste montagne? Ci era mai stato prima d'oggi?». «Confesso di no», si rammaricò, «ma la prima cosa che ho notato arrivando in automobile questa sera è stata la luce del tramonto sulle montagne. Da queste parti l'enrosadira è veramente straordinaria».
E l'alpinismo? «Io considero la montagna come avventura, sebbene qualcun altro possa avere idee diverse», concluse Walter prima di riunirsi alla moglie Rossana per la cena: «Dunque alla fine è sempre una questione di scelta. Io posso anche ammirare tutti questi salitori di nuove vie impegnative, piene di spit e chiodi a pressione. Ma per me la montagna è tutt'altra cosa». Mentre lo salutavo non potevo tuttavia fare a meno di considerare un dettaglio forse irrilevante: fu quell'uomo, trent'anni fa, a farmi venire la tremarella ascoltando per la prima volta l'ululato del lupo. Gli era stato sufficiente un semplice vinile a 45 giri omaggio di una rivista. Non posso che essergli grato per questo ricordo infantile. Una cosa tra le tante, di quelle che si scordano in fretta.

[N.d.R: l'articolo che riproduce l'intervista completa a Walter Bonatti (Bergamo, 1930 - Roma, 2011) è stato pubblicato sul Corriere delle Alpi di Belluno nell'edizione di venerdì 2 dicembre 2005].

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