martedì 29 gennaio 2013

SPETTACOLO ALL'ALBA


Partendo per la montagna, di prima mattina...
Domenica 27 Gennaio 2013: DOLOMITI DI LIVINALLONGO, malga Laste (m 1868).

Il territorio Fodòm, a metà strada tra le Dolomiti d’Ampezzo ed il gruppo della Marmolada, costituisce un ottimo palcoscenico per escursioni spesso assai panoramiche, specialmente d’inverno. Partenza con le ciaspe ai piedi dalla frazione Dagai di Laste (m 1451), che si affaccia sull’alta Val Cordevole. Prosecuzione lungo strada bianca alla volta del rifugio Migòn (m 1660, chiuso) e della successiva malga Laste. Ritorno a valle per la stessa strada. Panorama privilegiato verso Col di Lana, monte Póre, Tofane, Civetta e Pelmo.

Circa 400 metri di dislivello. Meteo di stampo invernale con atmosfera abbastanza limpida, nonostante le cattive previsioni soprattutto per il pomeriggio. Temperatura abbastanza gradevole, perfino caldo in presenza del sole. Vento quasi del tutto assente. Circa 1 ½ m di neve dopo le ultime nevicate della settimana.

Alla partenza di buon'ora presso Mas in Valbelluna, intensa ma fugace alba color rosso fuoco sulle pareti dei Monti del Sole, alla faccia di quanti protestano per le levatacce. Il pericolo di valanghe è stato di grado marcato per tutta la settimana, ed anche su un itinerario piuttosto sicuro come questo incontriamo sulla strada di accesso alle malghe qualche residuo di slavina vecchio ormai di qualche giorno e pressoché innocuo. Sopra le torri rocciose della Civetta, in lontananza, avvistiamo di nuovo le consuete mongolfiere dirette verso meridione. Laste e le sue frazioni, abbarbicate sotto il caratteristico complesso roccioso del Sass da Ròcia, restano a mio parere tra i paesini più belli ed integri delle Dolomiti bellunesi.

martedì 22 gennaio 2013

SARDEGNA #1/4: GRANITE AL CANNONAU


Primavera 2007, nei dintorni delle ferie pasquali. Una compagnia di escursionisti bellunesi si avventura per un viaggio fai-da-te in un luogo affascinante e terribile allo stesso tempo: la Barbagia nuorese. È un’esperienza inattesa che concilia l’epico ed il comico, con alcune sequenze memorabili in uno dei luoghi più attraenti del Mediterraneo, grazie all’ospitalità di un popolo fiero ed amichevole come quello sardo.
Il protagonista assoluto della storia è la Sardegna stessa con la sua natura selvaggia, alla quale noi “continentali” non siamo più abituati: misteriosa ed a tratti inquietante come lo scenario notturno della campagna sarda, quasi del tutto priva di illuminazione artificiale se facciamo eccezione per i piccoli ed isolati borghi rurali.
Con questo racconto in quattro puntate, inserito nel filone In soffitta, mi ero sforzato all’epoca di rievocare le sensazioni provate in quei cinque giorni così singolari ed emozionanti. Oggi come allora, e sono trascorsi ormai sei anni, l’ascolto di un disco mi aiuta a ricordare: mi riferisco a L’indiano di Fabrizio De André, un album del 1981 che proprio a queste terre di frontiera deve la sua composizione.
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«Gran parte degli escursionisti che vengono in Sardegna ci guardano dall’alto in basso, poiché credono che da queste parti ci sia soltanto qualche collina senza importanza. In realtà non è del tutto vero». Sono parole di Mario, l'amico di Oliena che con passione e competenza ha organizzato itinerari e logistica della nostra permanenza pasquale nel Nuorese. Eh già, proprio la Sardegna, questa sconosciuta: terra di sugheri e cavità sotterranee più o meno note, di maiali selvatici e banditi, di vino cannonau e ginepri grossi come colonne doriche. Eravamo atterrati a Olbia meno di tre giorni prima, e dopo un’entusiasmante traversata del Supramonte avevamo infine appoggiato le chiappe per un breve riposo al villaggio nuragico di Carros. Mentre il sole mangiava le ore non potevo fare a meno di considerare come Mario avesse ragione da vendere.
Eravamo partiti da Belluno in cinque, convinti che ci attendesse una breve vacanza di poco impegno, e nemmeno troppo distante da casa. Avevamo torto marcio. La Sardegna è in realtà lontanissima dal rassicurante nord est e dalla nostra montagna semi-addomesticata, dove i segnavia CAI e le cartine topografiche offrono al viandante una relativa sicurezza ed autonomia. In Sardegna, ed in particolare nel Nuorese, è tutto un altro paio di maniche. Attraversando i suoi aridi altipiani sembra di trovarsi in Messico, e dirò di più: una passeggiata in una cittadina come Orgosolo, con rispetto parlando, è veramente degna di Clint Eastwood che entra nel villaggio dei fuorilegge nelle pellicole di Sergio Leone. Manca solo il pistolero a cavallo che ci corre incontro, con un foglio di carta appeso dietro la schiena ed una scritta eloquente: adios, amigo.
Qualche indizio in realtà l'avevamo già individuato prima della partenza. «Infilate anche le ghette nello zaino», ci aveva anticipato Mario per telefono. Noi pensavamo ad una presa in giro: sulle Dolomiti avevamo mendicato qualche fiocco bianco per tutti i mesi freddi, era impossibile che a meno di venti chilometri dal mare andassimo di nuovo ad imbatterci nel Generale Inverno. Previsione errata: il venerdì santo, giorno del supplizio di Nostro Signore, anche noi affrontavamo una passione ben più abbordabile e semiseria sulle creste di Punta La Marmora, nel gruppo del Gennargentu, sprofondando fino alla cintola nella neve marcia. Il tempo meteorologico non ci aiutava: dopo una corroborante granita a base di neve ghiacciata e vino cannonau, gustata in mezzo alla nebbia senza vedere a un palmo, facevamo un ritorno anticipato all'agriturismo nei pressi di Fonni. Ci attendeva un appetitoso menu a base di sanguinaccio, polmone in umido e zuppa di lardo.

Personaggi e luoghi si annunciavano come interessanti, nonostante la nostra iniziale e comprensibile diffidenza verso una terra diventata nel passato tristemente famosa per la piaga dei sequestri di persona. Il giorno del nostro arrivo da Olbia, Mario ci aveva dapprima accompagnato in un tour panoramico attraverso il capoluogo Nuoro e Oliena, prolungando poi il giro in direzione di Mamoiada, Fonni ed Orgosolo sulle orme di Graziano Mesina. Intanto ci raccontava qualcosa della sua vita: è nato ed abita tuttora ad Oliena, ma ha trascorso molti anni sulle montagne del Trentino dove ha conosciuto sua moglie, che è originaria di Fiera di Primiero. La sua figlia più grande, Angela, frequenta addirittura a Feltre lo stesso liceo dove mi sono diplomato anch'io qualche era geologica addietro. Proprio piccolo, il mondo.
Mentre rientravamo in automobile in direzione di Oliena compiendo un ampio giro sul versante meridionale del Gennargentu, Mario ci esponeva intanto i suoi piani per i giorni successivi: dopo il parziale ripiegamento di Punta La Marmora ci attendevano altri luoghi per noi ancora misteriosi e sconosciuti come la gola di Gorropu e la traversata integrale del Supramonte, programmata già per l’indomani. Aveva appena finito di parlare, quando incrociammo l'ennesimo cartello stradale reso illeggibile dai fori di una scarica di pallini. «Da queste parti è un segno di amicizia», ci assicurò Mario con un sorriso che era tutto un programma.

[#1/4, continua ...]

domenica 20 gennaio 2013

GELIDO AMPEZZO

Domenica 13 Gennaio 2013: DOLOMITI D’AMPEZZO, malga Ra Stua.

L’inverno è infine arrivato e si rende consigliabile un’uscita di relativo ripiego su terreno abbastanza comodo. Partenza a piedi dalla curva di Sant’Uberto dopo Fiàmes a Cortina d’Ampezzo (m 1421), e prosecuzione lungo strada innevata alla volta di malga Ra Stua (m 1668) e la radura di Campo Croce (m 1758) con le caratteristiche anse del torrente Boite. Ritorno a valle per la stessa strada, con sosta a malga Ra Stua per un confortante tè al rum.

Circa 300 metri di dislivello. Giornata invernale, grigia, fredda, ventosa, umida e con qualche fiocco di neve leggera sparato direttamente in faccia dall’aria gelida.

Del tutto inutili le ciaspe a causa dell’insidioso fondo vetrato coperto da neve farinosa, per questo breve di giro di mezza giornata sono invece risultati utili i leggeri e pratici ramponi a quattro punte, soprattutto per la discesa. Sulla via del ritorno, impossibile non soffermarsi per un momento a considerare quanto infelice è stata a suo tempo (maggio 1964) la decisione di smantellare la Ferrovia delle Dolomiti che passava proprio in queste contrade.

lunedì 7 gennaio 2013

ANTENNA SELVAGGIA


Dalla cresta del Cesén (Prealpi bellunesi)
Domenica 6 Gennaio 2013: PREALPI BELLUNESI / TREVIGIANE, cresta del monte Cesén (m 1570), malga Mariéch (m 1526).

Calda, in certi tratti quasi afosa giornata dell’Epifania sulle Prealpi bellunesi / trevigiane, versante meridionale, pressoché prive di neve. Partenza a piedi da Pianezze (m 1075) sopra Valdobbiadene, alla volta di monte Orsère e monte Barbària, con la sua selva di inquietanti antenne. Prosecuzione per malga Mariéch e la cresta del Cesén. Rinuncia al prolungamento per rifugio Posa Punèr, a causa dell’ora tarda e delle giornate brevi. Ritorno a valle lungo la strada asfaltata e poi su sentiero, su lunga pala erbosa ricoperta di loppa. Circa 500 metri di dislivello, meteo sereno soprattutto a settentrione con molta nebbia verso sud. Temperatura calda in modo anomalo come ormai da due settimane, con neve e ghiaccio in piena fusione. Sul monte Barbària ci teniamo a prudente distanza da una fitta foresta di antenne per telecomunicazioni, peraltro salvaguardata da minacciosi cartelli con testo intimidatorio rivolto ai trasgressori del divieto di accesso all’area recintata. Nel cielo sopra di noi, viene avvistata nel primo pomeriggio l’ormai familiare flotta di mongolfiere che un paio di volte l’anno compie una traversata in direzione nord-sud. Molti solchi ed arature lasciati dai cinghiali lungo tutta la cresta del monte Cesén.

sabato 5 gennaio 2013

OMAGGIO ALLA STANGA


Un'immagine d'epoca del ristorante Alla Stanga
Prima ancora che un ristorante ed una locanda storica, un luogo dell’anima; un punto di partenza per escursioni e scalate sui monti della valle del Cordevole, oppure una sosta per i viaggiatori di passaggio tra la Valbelluna e l’Agordino; lo sguardo che si perde ipnotizzato nella guizzante fiamma dell’antico larìn, caratteristico caminetto delle case bellunesi, mentre dalle pareti vetusti trofei di camosci e caprioli richiamano alla memoria epiche avventure di caccia su queste montagne così aspre e dure.

Presso il ristorante Alla Stanga, da poco inserito nella lista dei locali storici del Veneto, è facile sentirsi un po’ come a casa propria. Non si tratta di pubblicità. Lo sapeva infatti già bene anche lo scrittore ed alpinista bellunese Piero Rossi, che negli anni Settanta del secolo scorso descriveva in questo modo il Canal d’Agordo:

La valle è quasi disabitata. Si incontra solo qualche casa sparsa, poi, dopo lo sbocco di Val di Piero, l’antica locanda de La Stanga (posta di cavalli), dove continua la tradizione di una meravigliosa cucina valligiana, tramandata dalle sorelle Zanella, due straordinarie vecchine, che accoglievano l’ospite in malo modo: «No avón gnént ancói, andé magnàr in Àgort, che magné mejo!»(1). Bastava conoscerle ed aver pazienza e si gustavano leccornie impareggiabili! Ed anche oggi…

E ancora, nel seguente passaggio:

La locanda Alla Stanga è stata, fin dai tempi dei primi pionieri della Schiara, una tappa d’obbligo, simpaticamente ricordata negli scritti del Tomè, del Merzbacher, del Vinanti, ecc. Essa venne attivata nel 1850 dai fratelli Carlo e Giuseppe Zanella, che avevano assunto l’appalto dell’Imperial Regio servizio postale, fra Belluno ed Agordo. La locanda serviva anche da esattoria del pedaggio (donde il nome). Ne curò la gestione, sino al 1901, epoca della sua morte, Giuseppe Zanella, considerato il miglior cacciatore di camosci della zona. Nel 1901 subentrò il fratello Carlo, anch’egli famoso cacciatore. Con lui collaborarono i nipoti, eredi di Giuseppe, che poi tennero alta la rinomanza della casalinga cucina, sino ai nostri giorni. In particolare, Domanico, detto Meneghéto, esperto cantiniere (1891-1965), Rosina (1873-1971) e Maria (1886-1972), veri numi tutelari del famoso foghèr o larìn della Stanga, fin in più che veneranda età, note e care ad intere generazioni di alpinisti(2).

Poco tempo fa, il locale oggi gestito da Patrizia e Luca è anche comparso nel prologo del libro a fumetti Ararat, la montagna del mistero del disegnatore Paolo Cossi, dove i protagonisti della storia ambientata tra Italia ed Armenia dialogano tra loro circondati da pittoresche comparse che ricordano la fisionomia di alcuni personaggi della storia dell’alpinismo. Ancora più di recente, le vicende che hanno interessato la locanda costruita da Andrea Segato - fratello del più conosciuto Girolamo - e le diverse generazioni di gestori l’ultimo secolo e mezzo (l’albergo è stato edificato nello stesso periodo dell’unità d’Italia) sono state raccontate nel volume monografico La Stanga di Sedico, storia di una località, di un albergo e di Giuseppe Zanella straordinario imprenditore (autore Gianni De Vecchi, Edizioni DBS, Rasai di Seren del Grappa, novembre 2012). Il libro, per quanti fossero interessati, è in vendita presso il locale.

(1) Traduzione dal dialetto bellunese – agordino: «Non abbiamo niente oggi, andate a mangiare ad Agordo, che mangerete meglio!». Brano tratto da Piero Rossi, IL PARCO NAZIONALE DELLE DOLOMITI, Belluno, Nuovi Sentieri Editore, 1976.
(2) Citazione da Piero Rossi, SCHIARA, collana Guida dei Monti d’Italia, edizioni CAI-TCI, Milano, 1982.