martedì 16 aprile 2013

IL CIRCO VOLANTE DELLE ZURLE

La Val Popéna vista dalla strada del monte Piana
Domenica 14 Aprile 2013: DOLOMITI D’AMPEZZO, monte Piana (m 2272).

Si festeggia la prima domenica di indiscutibile bel tempo con un giro tardo-invernale sul monte Piana, già teatro di cruenti scontri armati durante il primo conflitto mondiale 1914-1918. Partenza a piedi dal lago di Misurina (m 1776) e prosecuzione con le ciaspe alla volta del rifugio Bosi (m 2209) passando per forcella Auta (m 1984) lungo il percorso pedonale che passa a sinistra del Col delle Saline. Arrivo in “vetta” presso il monumento al Carducci, sosta per il pranzo al sacco e ritorno a valle per la medesima via di salita.

Circa 400 metri di dislivello, per 5 ore di percorrenza totale. Meteo finalmente primaverile nonostante la molta neve ormai marcia, con atmosfera limpida e molto sole.

La partenza di buon mattino ci pone al sicuro dal rischio delle slavine, che almeno in un paio di punti della carrozzabile che conduce in vetta al monte Piana sono in agguato durante una giornata così calda. Presso il monumento al Carducci uno squadrone di zurle ci accoglie festante, aspirando ai nostri panini senza troppi giri di parole. Nei pressi della cima avvistiamo il Mauro nazionalpopolare in versione capitan Uncino scialpinista.

mercoledì 10 aprile 2013

ALLA FACCIA DELLA PIOGGIA

Nel Bosco dei Dogi
Domenica 7 Aprile 2013: FORESTA DEL CANSIGLIO, monte Pizzòc (m 1565). 

Il clima invernale continua imperterrito ad imperversare sulla montagna veneta, tanto da costringerci ad un’uscita di sostanziale ripiego nel Bosco dei Dogi, a poca distanza da quella che una volta era la base militare americana del Cansiglio.

Partenza a Piedi dal passo de La Crosetta (m 1150 ca.), quindi salita con le ciaspe dapprima lungo il segnavia CAI n. 982 ed in seguito lungo la strada asfaltata che sale nel bosco di faggi fino in vetta al monte Pizzòc. Presso le casère Croce (m 1450) discesa improvvisa della nebbia, con conseguente decisione di rinunciare a proseguire per la cima: la spessa coltre di neve, la mancanza di una traccia evidente e le difficoltà di orientamento suggeriscono infatti prudenza. Ritorno a valle per la stessa strada dopo la sosta per il pranzo al sacco. Circa 300 metri di dislivello, per 3 ore di percorrenza totale. Clima tuttora invernale con rilevante innevamento ormai “marcio”. Cielo nuvoloso e molto grigio con molta nebbia (visibilità in alcuni tratti non superiore ai 10 metri) soprattutto dai 1400 metri in su.

La foresta del Cansiglio conserva un certo fascino anche in una giornata nefasta come quella appena descritta, in virtù dei bei boschi di faggio che si attraversano durante l’itinerario. La verità tuttavia è che il maltempo ostinato che si accanisce sulle nostre montagne da oltre due mesi sta cominciando a rendere isterici molti camminatori, rassegnati anche a sorbirsi le intemperie pur di non trascorrere dentro casa un altro fine settimana.

giovedì 4 aprile 2013

SARDEGNA #3/4: GORROPU

La gola del Gorropu
Pasqua 2007. In principio venne l’iniziativa di cinque intrepidi escursionisti bellunesi di organizzare un trekking nella Barbagia nuorese. In seguito, la medesima intrepida comitiva capitò nel paese di Graziano Mesina, ed il coraggio cominciò a vacillare. Ma il meglio doveva ancora venire: il passaggio obbligato sul fondo di un’aspra gola rocciosa dove non li attendevano gli indiani Apache bensì un bagno freddo, delle inattese manovre di corda ed un guado vertiginoso. 
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La gola del Gorropu ci servì per dimenticare Orgosolo. Per carità, nessuna offesa per gli abitanti di questa originale ed insolita cittadina sarda tappezzata di murales, come ci aveva ben raccomandato Mario: «Se vi chiedono un parere estetico non dite che non vi piace, potrebbero prendersela». Soltanto, l’impressione che avevamo ricavato dalla visita ad Orgosolo era quella di un’impercettibile ostilità verso le facce nuove, come ben testimoniavano gli sguardi foschi degli indigeni e il portone principale del municipio crivellato di pallottole.
Un successivo commento del nostro imperturbabile accompagnatore ci aveva tuttavia garantito l’autentico tocco del brivido: «Non siate avviliti», ci aveva esortato Mario, «la vostra visita ad Orgosolo ha avuto di sicuro una conseguenza positiva. Almeno questo pomeriggio vi hanno visto tutti». A tre mesi di distanza mi sto ancora chiedendo cosa intendesse dire, ma non importa: pochi minuti dopo stavamo allegramente sorseggiando del Nepente nella casa di amici di amici (la ripetizione è d’obbligo), e avevamo scordato l’oscura allusione.
La discesa nel Gorropu, che gli opuscoli turistici identificano come il canyon più profondo d’Europa, contribuì poi a farci concentrare su qualcosa di nuovo. Il Gorropu, che si raggiunge passando per Dorgali ed Urzulei, è una magnifica gola rocciosa percorsa dall’acqua, dove si possono ammirare profonde vasche color smeraldo ed alte pareti rocciose simili alle nostre Dolomiti. «Solo pochi camminatori raggiungono dall’Orientale Sarda la splendida parte centrale della gola», avvertiva la rivista AlpGM: a quanto pare, noi facevamo parte di questo gruppo di eletti.
Percorrere il Gorropu non è propriamente difficile per escursionisti di media esperienza. È tuttavia indispensabile disporre di un accompagnatore esperto dei luoghi, ed avere inoltre una certa familiarità con le manovre di corda: il passaggio tra i successivi livelli del canyon, se si vuole evitare un tuffo fuori stagione nelle gelide acque del Flumineddu, comporta infatti almeno due calate in corda doppia ed una scomoda traversata su roccia esposta, senza poter fare eccessivo affidamento sull’ausilio di protezioni preesistenti.
In quel fine settimana pasquale, il nostro gruppo si presentò alla testata del Gorropu provenendo dallo spoglio altopiano di Campu Oddeu, spiando dai finestrini del furgone i maiali selvatici mentre azzannavano senza ritegno le carogne delle pecore morte di sete su quella sterminata e secca pietraia. Una volta entrati nel bosco, dopo aver percorso una stretta e dissestata strada bianca sulla quale le barriere laterali rappresentavano soltanto una lontana utopia, cominciò quindi l’itinerario a piedi con una riposante discesa in mezzo a lecci e ginepri.
Tutto filò liscio fino ad uno degli ultimi laghetti, nei pressi della grande parete strapiombante dove alcuni anni fa venne tracciata la difficile via alpinistica Hotel Supramonte. Impegnata in un’acrobazia tra due grossi sassi sul greto del torrente, la nostra amica Elena non trovo infatti di meglio che saltare a piè pari direttamente nel punto centrale dello specchio d’acqua, uscendone fradicia dalla testa ai piedi in mezzo ad un turbinio di imprecazioni e risate. Priva di pantaloni di ricambio, Elena risolse comunque il dilemma del vestiario chiedendo a prestito una felpa ed infilando le gambe nelle due maniche, con l’effetto scenico che tutti sapranno immaginare.
Eravamo intanto quasi all’uscita del canyon, ma la presenza inaspettata di un ultimo laghetto ci costrinse ad improvvisare un’ulteriore calata in corda doppia di una ventina di metri, durante la quale a qualcuno della comitiva saltarono i nervi. Sarà stata forse colpa della stanchezza o dello sgomento di fronte ad una breve rampa su roccia fradicia prima di attaccarsi al moschettone, ma ogni modo anche quella volta riuscimmo a venirne fuori senza danno.
Uscimmo dal Gorropu mentre il sole al tramonto incendiava di colore le alture sopra l’Orientale Sarda, e ci accingemmo con sollievo a percorrere il tratto di sentiero fino al parcheggio dove ci attendeva il nostro autista. Un’ultima sorpresa ci attendeva proprio all’epilogo della giornata: il ponte che un tempo consentiva il passaggio sul Flumineddu era stato sradicato da una piena, ma gli intraprendenti nativi avevano rimediato al guaio con una precaria struttura composta da due pali metallici ed alcuni traballanti bancali in legno. In Sardegna, è risaputo, si deve fare di necessità virtù.
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[#3/4, continua e finisce fra un mese circa...]