martedì 16 aprile 2013

IL CIRCO VOLANTE DELLE ZURLE

La Val Popéna vista dalla strada del monte Piana
Domenica 14 Aprile 2013: DOLOMITI D’AMPEZZO, monte Piana (m 2272).

Si festeggia la prima domenica di indiscutibile bel tempo con un giro tardo-invernale sul monte Piana, già teatro di cruenti scontri armati durante il primo conflitto mondiale 1914-1918. Partenza a piedi dal lago di Misurina (m 1776) e prosecuzione con le ciaspe alla volta del rifugio Bosi (m 2209) passando per forcella Auta (m 1984) lungo il percorso pedonale che passa a sinistra del Col delle Saline. Arrivo in “vetta” presso il monumento al Carducci, sosta per il pranzo al sacco e ritorno a valle per la medesima via di salita.

Circa 400 metri di dislivello, per 5 ore di percorrenza totale. Meteo finalmente primaverile nonostante la molta neve ormai marcia, con atmosfera limpida e molto sole.

La partenza di buon mattino ci pone al sicuro dal rischio delle slavine, che almeno in un paio di punti della carrozzabile che conduce in vetta al monte Piana sono in agguato durante una giornata così calda. Presso il monumento al Carducci uno squadrone di zurle ci accoglie festante, aspirando ai nostri panini senza troppi giri di parole. Nei pressi della cima avvistiamo il Mauro nazionalpopolare in versione capitan Uncino scialpinista.

mercoledì 10 aprile 2013

ALLA FACCIA DELLA PIOGGIA

Nel Bosco dei Dogi
Domenica 7 Aprile 2013: FORESTA DEL CANSIGLIO, monte Pizzòc (m 1565). 

Il clima invernale continua imperterrito ad imperversare sulla montagna veneta, tanto da costringerci ad un’uscita di sostanziale ripiego nel Bosco dei Dogi, a poca distanza da quella che una volta era la base militare americana del Cansiglio.

Partenza a Piedi dal passo de La Crosetta (m 1150 ca.), quindi salita con le ciaspe dapprima lungo il segnavia CAI n. 982 ed in seguito lungo la strada asfaltata che sale nel bosco di faggi fino in vetta al monte Pizzòc. Presso le casère Croce (m 1450) discesa improvvisa della nebbia, con conseguente decisione di rinunciare a proseguire per la cima: la spessa coltre di neve, la mancanza di una traccia evidente e le difficoltà di orientamento suggeriscono infatti prudenza. Ritorno a valle per la stessa strada dopo la sosta per il pranzo al sacco. Circa 300 metri di dislivello, per 3 ore di percorrenza totale. Clima tuttora invernale con rilevante innevamento ormai “marcio”. Cielo nuvoloso e molto grigio con molta nebbia (visibilità in alcuni tratti non superiore ai 10 metri) soprattutto dai 1400 metri in su.

La foresta del Cansiglio conserva un certo fascino anche in una giornata nefasta come quella appena descritta, in virtù dei bei boschi di faggio che si attraversano durante l’itinerario. La verità tuttavia è che il maltempo ostinato che si accanisce sulle nostre montagne da oltre due mesi sta cominciando a rendere isterici molti camminatori, rassegnati anche a sorbirsi le intemperie pur di non trascorrere dentro casa un altro fine settimana.

giovedì 4 aprile 2013

SARDEGNA #3/4: GORROPU

La gola del Gorropu
Pasqua 2007. In principio venne l’iniziativa di cinque intrepidi escursionisti bellunesi di organizzare un trekking nella Barbagia nuorese. In seguito, la medesima intrepida comitiva capitò nel paese di Graziano Mesina, ed il coraggio cominciò a vacillare. Ma il meglio doveva ancora venire: il passaggio obbligato sul fondo di un’aspra gola rocciosa dove non li attendevano gli indiani Apache bensì un bagno freddo, delle inattese manovre di corda ed un guado vertiginoso. 
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La gola del Gorropu ci servì per dimenticare Orgosolo. Per carità, nessuna offesa per gli abitanti di questa originale ed insolita cittadina sarda tappezzata di murales, come ci aveva ben raccomandato Mario: «Se vi chiedono un parere estetico non dite che non vi piace, potrebbero prendersela». Soltanto, l’impressione che avevamo ricavato dalla visita ad Orgosolo era quella di un’impercettibile ostilità verso le facce nuove, come ben testimoniavano gli sguardi foschi degli indigeni e il portone principale del municipio crivellato di pallottole.
Un successivo commento del nostro imperturbabile accompagnatore ci aveva tuttavia garantito l’autentico tocco del brivido: «Non siate avviliti», ci aveva esortato Mario, «la vostra visita ad Orgosolo ha avuto di sicuro una conseguenza positiva. Almeno questo pomeriggio vi hanno visto tutti». A tre mesi di distanza mi sto ancora chiedendo cosa intendesse dire, ma non importa: pochi minuti dopo stavamo allegramente sorseggiando del Nepente nella casa di amici di amici (la ripetizione è d’obbligo), e avevamo scordato l’oscura allusione.
La discesa nel Gorropu, che gli opuscoli turistici identificano come il canyon più profondo d’Europa, contribuì poi a farci concentrare su qualcosa di nuovo. Il Gorropu, che si raggiunge passando per Dorgali ed Urzulei, è una magnifica gola rocciosa percorsa dall’acqua, dove si possono ammirare profonde vasche color smeraldo ed alte pareti rocciose simili alle nostre Dolomiti. «Solo pochi camminatori raggiungono dall’Orientale Sarda la splendida parte centrale della gola», avvertiva la rivista AlpGM: a quanto pare, noi facevamo parte di questo gruppo di eletti.
Percorrere il Gorropu non è propriamente difficile per escursionisti di media esperienza. È tuttavia indispensabile disporre di un accompagnatore esperto dei luoghi, ed avere inoltre una certa familiarità con le manovre di corda: il passaggio tra i successivi livelli del canyon, se si vuole evitare un tuffo fuori stagione nelle gelide acque del Flumineddu, comporta infatti almeno due calate in corda doppia ed una scomoda traversata su roccia esposta, senza poter fare eccessivo affidamento sull’ausilio di protezioni preesistenti.
In quel fine settimana pasquale, il nostro gruppo si presentò alla testata del Gorropu provenendo dallo spoglio altopiano di Campu Oddeu, spiando dai finestrini del furgone i maiali selvatici mentre azzannavano senza ritegno le carogne delle pecore morte di sete su quella sterminata e secca pietraia. Una volta entrati nel bosco, dopo aver percorso una stretta e dissestata strada bianca sulla quale le barriere laterali rappresentavano soltanto una lontana utopia, cominciò quindi l’itinerario a piedi con una riposante discesa in mezzo a lecci e ginepri.
Tutto filò liscio fino ad uno degli ultimi laghetti, nei pressi della grande parete strapiombante dove alcuni anni fa venne tracciata la difficile via alpinistica Hotel Supramonte. Impegnata in un’acrobazia tra due grossi sassi sul greto del torrente, la nostra amica Elena non trovo infatti di meglio che saltare a piè pari direttamente nel punto centrale dello specchio d’acqua, uscendone fradicia dalla testa ai piedi in mezzo ad un turbinio di imprecazioni e risate. Priva di pantaloni di ricambio, Elena risolse comunque il dilemma del vestiario chiedendo a prestito una felpa ed infilando le gambe nelle due maniche, con l’effetto scenico che tutti sapranno immaginare.
Eravamo intanto quasi all’uscita del canyon, ma la presenza inaspettata di un ultimo laghetto ci costrinse ad improvvisare un’ulteriore calata in corda doppia di una ventina di metri, durante la quale a qualcuno della comitiva saltarono i nervi. Sarà stata forse colpa della stanchezza o dello sgomento di fronte ad una breve rampa su roccia fradicia prima di attaccarsi al moschettone, ma ogni modo anche quella volta riuscimmo a venirne fuori senza danno.
Uscimmo dal Gorropu mentre il sole al tramonto incendiava di colore le alture sopra l’Orientale Sarda, e ci accingemmo con sollievo a percorrere il tratto di sentiero fino al parcheggio dove ci attendeva il nostro autista. Un’ultima sorpresa ci attendeva proprio all’epilogo della giornata: il ponte che un tempo consentiva il passaggio sul Flumineddu era stato sradicato da una piena, ma gli intraprendenti nativi avevano rimediato al guaio con una precaria struttura composta da due pali metallici ed alcuni traballanti bancali in legno. In Sardegna, è risaputo, si deve fare di necessità virtù.
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[#3/4, continua e finisce fra un mese circa...]

domenica 17 marzo 2013

LABIRINTO DI NEBBIA

Di ritorno dal Col Visentin
Domenica 17 Marzo 2013: PRELPI BELLUNESI, Col Visentìn e monte Faverghèra.

Gita solitaria sulle Prealpi bellunesi con clima tardo - invernale ma ancora assai freddo e burrascoso. Partenza a piedi dal parcheggio del ristorante La Casera (m 1396) sull’Alpe del Nevegàl, e successivo spostamento con le ciaspe alla volta del monte Faverghera, dell’ex rifugio Brigata Cadore ed infine del Col Visentìn (m 1763), passando lungo il crinale in alcuni tratti insidioso a causa delle cornici nevose strette ed affilate. Ritorno per la stessa strada, sulla variante bassa e più lontana dalla cresta che transita per il rifugio Bristot ed il Col Toront.

Circa 500 metri di dislivello, per 2 ore e ½ di percorrenza totale senza soste rilevanti. Clima ancora tipicamente invernale (-3°C alla partenza) con copioso innevamento ed una leggera ma gelida nevicata in corso. Cielo nuvoloso e molta nebbia (visibilità in alcuni tratti non superiore ai 10 metri). Escursione in solitaria.


Tempo da lupi sulle Prealpi bellunesi nella giornata odierna, ma cosa non si fa pur di uscire di casa e muovere un po’ le gambe nonostante le previsioni meteo nefaste, dopo due settimane di sosta forzata a causa del maltempo? La protagonista indiscussa della giornata è stata la nebbia, che in alcuni punti dell’itinerario dava quasi luogo ad un effetto total white ed avrebbe potuto causare qualche problema di orientamento: in questi casi, in temporanea assenza di punti di riferimento visivi, è fondamentale conoscere alla perfezione l’ambiente circostante ed affidarsi ad altri sensi come l’udito, che si rivela assai utile quando sopra e sotto di te, ma anche davanti e dietro, è tutto completamente bianco. Brivido finale sulla cresta che conduce in vetta al Col Visentìn, stretta ed affilata a causa delle cornici nevose. Non proprio il massimo, con le ciaspe ai piedi.

martedì 5 marzo 2013

APOGEO INVERNALE

Al Casonét de Lerosa
Domenica 3 Marzo 2013: DOLOMITI D’AMPEZZO, Gruppo della Croda Rossa, forcella Lerosa.

Partenza con le ciaspe dai ruderi della caserma nelle vicinanze di passo Cimabanche (m 1515), e salita lungo la strada bianca (segnavia n. 8) che percorre la Val di Gotres fino a forcella Lerosa (m 2020) alternando tratti di bosco ad ampie radure innevate. Prosecuzione fino al vicino Casonét de Lerosa (m 2039) e poi anche oltre sulla Pala dell’Asco, ma soltanto fin dove consigliato dalla prudenza (pericolo valanghe marcato per tutta la giornata).

Circa 600 metri di dislivello. Ancora piuttosto freddo il primo mattino (-9°C a Cimabanche), poi temperato ed addirittura caldo anche in quota, con assenza totale di ventilazione. Cielo limpido e soleggiato.

Giornata quasi primaverile nonostante la grande quantità di neve in quota (due metri nei punti in ombra o ventati). Spettacolare panorama dapprima sulla Croda Rossa d’Ampezzo, e poi verso Tofane e Dolomiti di Fanes da forcella Lerosa. Ancora molte gente a spasso sulle neve, anche in comitive numerose, ma tutti con orario di partenza piuttosto ritardato: è così difficile comprendere che per andare in montagna è opportuno partire all’alba, specialmente d’inverno?

giovedì 21 febbraio 2013

SARDEGNA #2/4: HOTEL SUPRAMONTE

Scendendo dal Supramonte
Un esercito di cinque escursionisti in Sardegna, atto secondo. In questo canto vengono celebrate le gesta di una comitiva di bellunesi che arranca penosamente tra le pietraie del Supramonte ed i suoi affilati Karren, singolari formazioni tipiche dei terreni carsici. Il successivo incontro con un branco di maiali assai poco socievoli cambierà per sempre le loro vite. È il lunedì di Pasquetta del 2007, e di ritorno a casa li attende una sparatoria fuori programma...
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In cinque giorni di permanenza nel Nuorese non ci furono rilevanti occasioni per fare vita da nottambuli. Ad essere sinceri, nessuno del gruppo dava fin dall’inizio l’idea di essere un animale da discoteca, ma vero è anche che il programma di viaggio non avrebbe lasciato molto spazio per questo tipo di distrazioni: la partenza da Oliena era fissata quasi ogni mattina intorno alle 7 e, dopo aver prelevato Mario a casa sua, stavamo a spasso con lo zaino sulle spalle per tutta la giornata rientrando infine in agriturismo per l’ora di cena.
Non per questo mancavano le occasioni per fare festa. Oltre a diverse bottiglie di cannonau (sorbito nella sua varietà locale, chiamata Nepente) stappate in compagnia del nostro accompagnatore Mario e dei suoi numerosi amici, eravamo capitati in paese proprio nel periodo del santo patrono, con tutti gli annessi e connessi del caso. Una mattina, per esempio, tutta Oliena era paralizzata dai posti di blocco: attraversare la cittadina in automobile significava rischiare il coma etilico poiché ogni sosta comportava un obolo obbligatorio, un santino e un piombo di vino moscato offerto dall’allegra gioventù del luogo.
Oliena è anche famosa per la cerimonia religiosa dove viene rievocato l’episodio dell’incontro tra Gesù e sua madre. La vera attrazione della giornata non consiste tuttavia nel rito in se stesso, quanto piuttosto nella festosa sparatoria rigorosamente non a salve organizzata in omaggio alla sacra famiglia. Quel giorno il nostro gruppo si trovava lontano, sugli altipiani del Supramonte, ma rientrando in serata trovammo la sorpresa: l’intera piazza era ricoperta di cartucce e bossoli, anche di grosso calibro.
L’Hotel Supramonte di Fabrizio De André intanto ci aspettava: si tratta di un grande altopiano di natura carsica e dolomitica, un luogo elevato circondato da alcune agili pareti rocciose, popolato da maiali selvatici e disseminato di lecci e ginepri senza età. Il Supramonte potrebbe assomigliare ai Piani Eterni bellunesi, ma qui la vegetazione è molto differente e c’è inoltre una maggiore quantità di buchi. In molti di questi ultimi, venimmo a sapere con inquietudine, un ostaggio poteva in un recente passato essere tenuto nascosto per mesi interi.
La salita sul ciglio del Supramonte è abbastanza breve ed agevole: in meno di un’ora di cammino, e senza rilevanti difficoltà, si possono già ammirare dall’alto i tetti di Oliena dal primo belvedere. In direzione opposta il panorama consiste invece a perdita d’occhio in una sconfinata pietraia dove i pochi alberi sono deformati dal vento e sulla quale regnano imperturbabili i mufloni. Non esistono sentieri, né tabelle, né tanto meno cartine topografiche: l’intero itinerario attraverso il Supramonte avviene sui caratteristici Karren carsici, affilati come rasoi.
Sembrava quasi di stare in un fumetto di Tex Willer, ed in agguato dietro alle grandi rocce arrotondate era facile immaginare bande di tagliagole ed indiani Navajos. Prima di salire verso Punta Corrasi, l’elevazione più alta dell’altopiano con i suoi 1463 metri, attraversammo l’unica sparuta radura erbosa che si allarga proprio al centro del Supramonte, nei pressi di un ovile diroccato. «Fino all’anno scorso qui viveva ancora un pastore», ci confidò Mario: «Poi però lo hanno ammazzato. Si vede che non era un tipo simpatico». Ci guardammo tutti negli occhi, sgomenti.
Guardando dal Corrasi a est, verso la verde e lontana vallata di Lanaitto che rappresentava la nostra meta per la giornata, capimmo al volo che non sarebbe stato affatto facile orientarsi senza guida su un terreno simile. Fosse ad esempio salita la nebbia, e non avessimo avuto Mario ad accompagnarci, avremmo potuto soltanto sederci ed attendere un miglioramento del tempo, prima di tornare sui nostri passi. Fummo tuttavia fortunati: quel giorno il maltempo decise di manifestarsi soltanto con un breve acquazzone pomeridiano che ci lasciò quasi indenni.
Venne l’ora del pranzo e più tardi, scendendo dalla montagna in fuga dalla pioggia, facemmo il primo incontro ravvicinato con i maiali selvatici appena al riparo degli alberi: si trattava di un paio di porche belle ed imponenti che incutevano un certo timore specialmente alla parte femminile del gruppo, ma che si ritirarono in buon ordine quando Mario emise un sonoro «Ciò, ciò, ciò», il caratteristico richiamo dei pastori. Ci guardammo: dopo essere scesi per alcuni canali rocciosi pieni di fango, viscidi e scivolosi, anche noi eravamo sporchi come suini a due zampe.
Il paesaggio non finiva tuttavia di stupirci. Ben lontani dal percorrere qualsiasi traccia paragonabile al comune concetto di sentiero, talvolta ci spostavamo saltando da un carro solcato all’altro evitando le infide voragini; in altre occasioni attraversavamo verdi giardini selvatici pieni di alberi in fiore, dove un gran numero di maiali giocavano a nascondino; a tratti, delle isolate e coloratissime gole rocciose si lasciavano ammirare per lo spazio di un minuto ai lati del nostro tragitto, mentre noi prendevamo una breve e spinosa scorciatoia che ci avrebbe condotto in breve tempo a Lanaitto.
Appoggiammo a terra gli zaini appena approdati al villaggio nuragico di Carros, ormai quasi a portata di voce dagli amici che erano venuti a prelevarci in auto. Era ormai tardo pomeriggio. Sulla strada per Oliena restavano da affrontare il temibile rito della birra ghiacciata, fredda al punto di far male ai denti, e naturalmente la cena a base di pane frattau e pecorino una volta seduti a tavola: fu decisamente troppo per Andrea, che sentiva la nostalgia della cucina di casa e andò a letto senza cena. Sgombrammo le camere da alcune legioni di mosche clandestine e ci coricammo tutti: per il giorno seguente avevamo in programma un visita al Gorropu, il canyon più profondo d’Europa.

[#2/4, continua ...]

mercoledì 20 febbraio 2013

RESTERÀ SOLTANTO GHIAIA

Il Piave all'altezza del Montello
Questione di bilancio idrico, soprattutto qui in montagna dove il fiume Piave soffre di secca e disidratazione cronica anche nella stagione delle piogge. Ricordo che tempo addietro un amico ha imprudentemente buttato lì l’osservazione che lo spreco d’acqua sarebbe un falso problema: il ciclo dell’acqua, sosteneva, è un sistema chiuso ed ogni molecola di H2O prima o poi ritorna dov’è partita. Niente di più scorretto, purtroppo: l’idrosfera è veramente un sistema chiuso, ma possiede anche la particolarità di essere organizzato per bacini, ognuno dei quali ha caratteristiche proprie. In alcuni di questi l’acqua è utilizzabile per gli usi umani, potabile e addirittura piacevole al palato; in altri ambiti le risorse idriche sono off-limits a causa dell’elevata salinità o dell’inquinamento. Poi, l’uomo si inventa magari anche qualche sordida diavoleria per “sfruttare al meglio le risorse a propria disposizione”: allora i travasi nocivi diventano un fenomeno all’ordine del giorno, ed i bacini non contaminati vengono ridotti al lumicino. Risultato: l’acqua sta diventando il petrolio del terzo millennio. Chiaro, no?

martedì 12 febbraio 2013

OMBRE CHE SI ACCORCIANO

Verso le Dolomiti di Sesto
Domenica 10 Febbraio 2013: DOLOMITI DEL COMELICO, rifugio Rinfreddo / malga Némes.

Classico giro invernale ad anello con partenza ed arrivo a passo Montecroce Comelico. Gelida mattinata a -16° C, e salita con le ciaspe al rifugio Rinfreddo lungo la pista riservata. Breve sosta e successiva trasferta a malga Némes, con panoramico (speciale colpo d’occhio a grandangolo verso Popera e Dolomiti di Sesto) pranzo al sacco usufruendo della panchina esterna di un tabià nelle vicinanze.

Circa 300 metri di dislivello. L’inverno comincia a declinare, almeno dal punto di vista astronomico: ancora molto freddo, ma le ombre sul terreno si stanno accorciando. Atmosfera limpida e cristallina. Molta gente a passeggio sulle piste, nonostante il clima piuttosto rigido. In un bar di Candide, dapprima per la colazione all’andata e poi per la birra conclusiva sulla strada del ritorno, abbiamo fatto la conoscenza di Maga Magò.

venerdì 8 febbraio 2013

INNATURALI REGRESSIONI

Ricevo dall'amico Vittorino Mason la notizia della pubblicazione sul sito internet de Lo Scarpone (già rivista mensile "cartacea" del Club Alpino Italiano, oggi migrata sulla rete telematica) di un'intervista allo studioso di botanica Cesare Lasen, a suo tempo primo presidente del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi. L'articolo è intitolato Il maestro dei fiori, uno studioso tra le piante: oltre ad alcuni interessanti spunti biografici, il testo contiene anche alcune allarmanti considerazioni espresse da Lasen in merito alla sensibilità ecologica nell'Italia dei giorni nostri. Di seguito, alcuni significativi estratti:
Purtroppo c’è stata un’involuzione di tutto il sistema delle aree protette, mai decollato. Meno risorse (entro certi limite comprensibile per i tagli generalizzati), ma preoccupano soprattutto le motivazioni culturali che segnano indiscutibili regressi, quasi che non fossero i gioielli da rispettare e valorizzare [...].
[...] Ci sono molti studi, ricerche, modelli previsionali e cominciano ad arrivare i primi risultati. Il programma count-down 2010 ha dimostrato il fallimento sostanziale delle politiche di tutela, troppo deboli per essere efficaci. Se non vi fosse pericolo non vi sarebbe la necessità di ricorrere a nuovi protocolli e tentativi a livello internazionale.
Il resto dell'intervista può essere letta e scaricata da questo collegamento.

martedì 5 febbraio 2013

VENTACCIO PREALPINO


Lungo il Canal de Limana. E in lontananza, la Schiara.
Domenica 3 Febbraio 2013: PREALPI BELLUNESI, Canàl de Limana e Pian de le Fémene (m 1127).

Mattinata invernale sulle colline di casa per una breve passeggiata nella neve alta e fresca, itinerario di poco impegno scelto per evitare il pericolo di valanghe e forte vento in alta quota. Partenza con le ciaspe da malga Montegàl sopra Valmorel e successivo spostamento lungo il Canal de Limana, sul bordo della pista da fondo, alla volta di Pian de le Fémene. Breve sosta in rifugio per un vin brulé, e dopo un tentativo di affrontare la cresta in direzione del Col Visentìn (rinuncia a causa del vento oltremodo intenso e freddo) ritorno a valle per la stessa strada.

Circa 250 metri di dislivello. Ancora una situazione meteorologica tipica invernale, con forte vento di caduta proveniente da settentrione, cielo molto terso e luce abbagliante. Circa 1 m complessivo di neve dopo la nevicata del giorno precedente.

Eccezionale visibilità non solo in montagna, ma anche verso la pianura: tutto il litorale adriatico si distingue in modo chiaro a centinaia di km di distanza, dai rilievi montuosi costieri della Croazia fino ai Colli Euganei passando per la laguna veneziana. Piccola sgradevole disavventura in un locale a Pian de le Fémene, dove scopriamo con fastidio della spiacevole iconografia a carattere nostalgico – fascista esposta proprio a due passi dal museo e monumento alla Resistenza.

sabato 2 febbraio 2013

FUNIVIE ED INVERSIONI TERMICHE


Sulla vetta del monte Rite
Domenica 23 Dicembre 2012: DOLOMITI DI ZOLDO, monte Rite (m 2183). Escursione con le ciaspe su uno dei migliori punti panoramici delle Dolomiti di Zoldo e d’Ampezzo. Partenza a piedi dal passo Cibiana (m 1530) e salita lungo i tornanti della strada militare fino al vecchio forte, oggi Messner Mountain Museum. Ritorno a valle per la stessa strada. Circa 700 metri di dislivello, 2 ore e ½ fino alla cima, 1 ora e ½ per la discesa. Meteo sereno ma leggermente offuscato in quota, soprattutto verso sud. Temperature alte in modo anormale (solo -4° alla partenza), e rilevante inversione termica con vento caldo in quota. Neve in pieno scioglimento in vetta, con i blocchi di ghiaccio che si staccano dal tetto del rifugio e scivolano a terra saltando come da un trampolino. 

Il racconto di una gita invernale sul monte Rite può iniziare da una breve nota di cronaca, con citazione da Il Corriere delle Alpi nell’edizione di domenica 23 dicembre 2012: «Messner, ultimatum alla Regione. Pronto a chiudere il museo di Cibiana: “L’impianto di risalita o me ne vado”. Ambientalisti contrari». Ci siamo forse persi qualcosa? Allora, ritorniamo indietro di qualche pagina.

Il monte Rite non è certo una cima dolomitica da cartolina come Civetta o Pelmo. Si tratta invece un panettone roccioso alquanto privo di estetica ed in buona parte ricoperto da boschi, che nel primo conflitto mondiale ospitò un forte militare in virtù della sua importanza strategica come punto di osservazione privilegiato sulle valli del Boite, Cadore e Zoldo.
Dopo decenni di abbandono, nel 2002 il vecchio forte è stato restaurato ed oggi ospita un rifugio ed un museo sulla montagna voluti dall’alpinista Reinhold Messner. «Messner ha rianimato il turismo, specie culturale, in questo angolo delle Dolomiti», si spiega ancora sul Corriere, «portandovi – anche la scorsa estate – decine di migliaia di turisti stranieri, tedeschi in particolare». Il re degli ottomila ora sostiene la necessità di una funivia che porti i visitatori fino in vetta: «Stanco di attendere una risposta, Messner ha lanciato un ultimatum: o si fa l’impianto di risalita, o me ne vado. Un disastro annunciato, se accadesse». Il costo dell’opera viene stimato in tre milioni di euro.

Siamo ancora del tutto all’oscuro di tutto ciò quando, una strana mattina di inverno dalla temperatura tiepida e piuttosto anomala, sguainiamo le ciaspe e lasciamo forcella Cibiana in direzione della cima del monte Rite. Sulla vecchia strada militare il manto bianco è stato battuto da un gatto delle nevi fino alla galleria antistante la prima caserma. Ripeto, il monte Rite di per sé non possiede nulla di speciale: i sette chilometri di strada bianca (d’inverno e anche d’estate) che conducono in vetta sono piuttosto monotoni, e non offrono alla vista alcuna parete dolomitica di prima grandezza.

Il discorso cambia quando, una volta oltrepassata una galleria, in pochi tornanti si sbuca in cresta all’altezza di forcella Deòna (m 2053). Di punto in bianco la massiccia mole piramidale dell’Antelao ti lascia di stucco, e da questo momento in poi sembra veramente di stare in mezzo alle nuvole: Sorapìss, Tofane, Croda da Lago, Pelmo, Civetta, Moiazza, Marmolada, Schiara, Bosconero, Cridola e Monfalconi ti circondano a 360 gradi: nelle giornate più serene lo sguardo può spingersi fino alla Valbelluna, le Pale di San Martino e l’alta valle del Piave.

Ormai in direzione della cima, la strada militare oltrepassa un recinto dove d’estate viene custodita una mandria di yak ed infine si giunge in prossimità del rifugio Dolomites dove sperimentiamo in tutta la sua potenza il fenomeno dell’inversione termica. Banalmente, si tratta di quella particolare situazione atmosferica tipica della stagione invernale, per la quale in basso fa freddo ed in quota fa caldo. Nel nostro caso, ad oltre duemila metri ci sta soffiando in faccia un vento caldo che suggerisce l’imminente fioritura di primule e margherite, quando la prudenza ci suggerirebbe di non guardare in basso bensì in alto: il tetto metallico del rifugio sta infatti scaldandosi, e nella nostra posizione rischiamo di prenderci in faccia i consistenti blocchi di neve ghiacciata che stanno lì in bilico, appesi al nulla.

Tornati al passo Cibiana poco prima del calar del sole, ritroviamo temperature più adatte a questa giornata prenatalizia insieme alla consueta neve ghiacciata che crocchia sotto gli scarponi. Ma davvero sul monte Rite servirebbe una funivia per portare la gente in cima? Chissà, se il problema fosse solo evitare il viavai estivo dei bus navetta con relativi polveroni soffocanti, potrebbe anche essere una buona idea. Eppure, resto convinto che una possibilità ancora migliore sarebbe cercare di convincere il maggior numero possibile di escursionisti che la montagna è un’esperienza veramente di qualità solo quando la si “conquista” con le proprie gambe. Se tuttavia non se ne può proprio fare a meno, lancio alla posterità il seguente quesito: perché Reinhold Messner non costruisce l’impianto a fune finanziando i lavori di tasca sua, invece di chiedere soldi a noi, poveri contribuenti di un territorio montano già abbastanza penalizzato?

martedì 29 gennaio 2013

SPETTACOLO ALL'ALBA


Partendo per la montagna, di prima mattina...
Domenica 27 Gennaio 2013: DOLOMITI DI LIVINALLONGO, malga Laste (m 1868).

Il territorio Fodòm, a metà strada tra le Dolomiti d’Ampezzo ed il gruppo della Marmolada, costituisce un ottimo palcoscenico per escursioni spesso assai panoramiche, specialmente d’inverno. Partenza con le ciaspe ai piedi dalla frazione Dagai di Laste (m 1451), che si affaccia sull’alta Val Cordevole. Prosecuzione lungo strada bianca alla volta del rifugio Migòn (m 1660, chiuso) e della successiva malga Laste. Ritorno a valle per la stessa strada. Panorama privilegiato verso Col di Lana, monte Póre, Tofane, Civetta e Pelmo.

Circa 400 metri di dislivello. Meteo di stampo invernale con atmosfera abbastanza limpida, nonostante le cattive previsioni soprattutto per il pomeriggio. Temperatura abbastanza gradevole, perfino caldo in presenza del sole. Vento quasi del tutto assente. Circa 1 ½ m di neve dopo le ultime nevicate della settimana.

Alla partenza di buon'ora presso Mas in Valbelluna, intensa ma fugace alba color rosso fuoco sulle pareti dei Monti del Sole, alla faccia di quanti protestano per le levatacce. Il pericolo di valanghe è stato di grado marcato per tutta la settimana, ed anche su un itinerario piuttosto sicuro come questo incontriamo sulla strada di accesso alle malghe qualche residuo di slavina vecchio ormai di qualche giorno e pressoché innocuo. Sopra le torri rocciose della Civetta, in lontananza, avvistiamo di nuovo le consuete mongolfiere dirette verso meridione. Laste e le sue frazioni, abbarbicate sotto il caratteristico complesso roccioso del Sass da Ròcia, restano a mio parere tra i paesini più belli ed integri delle Dolomiti bellunesi.

martedì 22 gennaio 2013

SARDEGNA #1/4: GRANITE AL CANNONAU


Primavera 2007, nei dintorni delle ferie pasquali. Una compagnia di escursionisti bellunesi si avventura per un viaggio fai-da-te in un luogo affascinante e terribile allo stesso tempo: la Barbagia nuorese. È un’esperienza inattesa che concilia l’epico ed il comico, con alcune sequenze memorabili in uno dei luoghi più attraenti del Mediterraneo, grazie all’ospitalità di un popolo fiero ed amichevole come quello sardo.
Il protagonista assoluto della storia è la Sardegna stessa con la sua natura selvaggia, alla quale noi “continentali” non siamo più abituati: misteriosa ed a tratti inquietante come lo scenario notturno della campagna sarda, quasi del tutto priva di illuminazione artificiale se facciamo eccezione per i piccoli ed isolati borghi rurali.
Con questo racconto in quattro puntate, inserito nel filone In soffitta, mi ero sforzato all’epoca di rievocare le sensazioni provate in quei cinque giorni così singolari ed emozionanti. Oggi come allora, e sono trascorsi ormai sei anni, l’ascolto di un disco mi aiuta a ricordare: mi riferisco a L’indiano di Fabrizio De André, un album del 1981 che proprio a queste terre di frontiera deve la sua composizione.
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«Gran parte degli escursionisti che vengono in Sardegna ci guardano dall’alto in basso, poiché credono che da queste parti ci sia soltanto qualche collina senza importanza. In realtà non è del tutto vero». Sono parole di Mario, l'amico di Oliena che con passione e competenza ha organizzato itinerari e logistica della nostra permanenza pasquale nel Nuorese. Eh già, proprio la Sardegna, questa sconosciuta: terra di sugheri e cavità sotterranee più o meno note, di maiali selvatici e banditi, di vino cannonau e ginepri grossi come colonne doriche. Eravamo atterrati a Olbia meno di tre giorni prima, e dopo un’entusiasmante traversata del Supramonte avevamo infine appoggiato le chiappe per un breve riposo al villaggio nuragico di Carros. Mentre il sole mangiava le ore non potevo fare a meno di considerare come Mario avesse ragione da vendere.
Eravamo partiti da Belluno in cinque, convinti che ci attendesse una breve vacanza di poco impegno, e nemmeno troppo distante da casa. Avevamo torto marcio. La Sardegna è in realtà lontanissima dal rassicurante nord est e dalla nostra montagna semi-addomesticata, dove i segnavia CAI e le cartine topografiche offrono al viandante una relativa sicurezza ed autonomia. In Sardegna, ed in particolare nel Nuorese, è tutto un altro paio di maniche. Attraversando i suoi aridi altipiani sembra di trovarsi in Messico, e dirò di più: una passeggiata in una cittadina come Orgosolo, con rispetto parlando, è veramente degna di Clint Eastwood che entra nel villaggio dei fuorilegge nelle pellicole di Sergio Leone. Manca solo il pistolero a cavallo che ci corre incontro, con un foglio di carta appeso dietro la schiena ed una scritta eloquente: adios, amigo.
Qualche indizio in realtà l'avevamo già individuato prima della partenza. «Infilate anche le ghette nello zaino», ci aveva anticipato Mario per telefono. Noi pensavamo ad una presa in giro: sulle Dolomiti avevamo mendicato qualche fiocco bianco per tutti i mesi freddi, era impossibile che a meno di venti chilometri dal mare andassimo di nuovo ad imbatterci nel Generale Inverno. Previsione errata: il venerdì santo, giorno del supplizio di Nostro Signore, anche noi affrontavamo una passione ben più abbordabile e semiseria sulle creste di Punta La Marmora, nel gruppo del Gennargentu, sprofondando fino alla cintola nella neve marcia. Il tempo meteorologico non ci aiutava: dopo una corroborante granita a base di neve ghiacciata e vino cannonau, gustata in mezzo alla nebbia senza vedere a un palmo, facevamo un ritorno anticipato all'agriturismo nei pressi di Fonni. Ci attendeva un appetitoso menu a base di sanguinaccio, polmone in umido e zuppa di lardo.

Personaggi e luoghi si annunciavano come interessanti, nonostante la nostra iniziale e comprensibile diffidenza verso una terra diventata nel passato tristemente famosa per la piaga dei sequestri di persona. Il giorno del nostro arrivo da Olbia, Mario ci aveva dapprima accompagnato in un tour panoramico attraverso il capoluogo Nuoro e Oliena, prolungando poi il giro in direzione di Mamoiada, Fonni ed Orgosolo sulle orme di Graziano Mesina. Intanto ci raccontava qualcosa della sua vita: è nato ed abita tuttora ad Oliena, ma ha trascorso molti anni sulle montagne del Trentino dove ha conosciuto sua moglie, che è originaria di Fiera di Primiero. La sua figlia più grande, Angela, frequenta addirittura a Feltre lo stesso liceo dove mi sono diplomato anch'io qualche era geologica addietro. Proprio piccolo, il mondo.
Mentre rientravamo in automobile in direzione di Oliena compiendo un ampio giro sul versante meridionale del Gennargentu, Mario ci esponeva intanto i suoi piani per i giorni successivi: dopo il parziale ripiegamento di Punta La Marmora ci attendevano altri luoghi per noi ancora misteriosi e sconosciuti come la gola di Gorropu e la traversata integrale del Supramonte, programmata già per l’indomani. Aveva appena finito di parlare, quando incrociammo l'ennesimo cartello stradale reso illeggibile dai fori di una scarica di pallini. «Da queste parti è un segno di amicizia», ci assicurò Mario con un sorriso che era tutto un programma.

[#1/4, continua ...]

domenica 20 gennaio 2013

GELIDO AMPEZZO

Domenica 13 Gennaio 2013: DOLOMITI D’AMPEZZO, malga Ra Stua.

L’inverno è infine arrivato e si rende consigliabile un’uscita di relativo ripiego su terreno abbastanza comodo. Partenza a piedi dalla curva di Sant’Uberto dopo Fiàmes a Cortina d’Ampezzo (m 1421), e prosecuzione lungo strada innevata alla volta di malga Ra Stua (m 1668) e la radura di Campo Croce (m 1758) con le caratteristiche anse del torrente Boite. Ritorno a valle per la stessa strada, con sosta a malga Ra Stua per un confortante tè al rum.

Circa 300 metri di dislivello. Giornata invernale, grigia, fredda, ventosa, umida e con qualche fiocco di neve leggera sparato direttamente in faccia dall’aria gelida.

Del tutto inutili le ciaspe a causa dell’insidioso fondo vetrato coperto da neve farinosa, per questo breve di giro di mezza giornata sono invece risultati utili i leggeri e pratici ramponi a quattro punte, soprattutto per la discesa. Sulla via del ritorno, impossibile non soffermarsi per un momento a considerare quanto infelice è stata a suo tempo (maggio 1964) la decisione di smantellare la Ferrovia delle Dolomiti che passava proprio in queste contrade.

lunedì 7 gennaio 2013

ANTENNA SELVAGGIA


Dalla cresta del Cesén (Prealpi bellunesi)
Domenica 6 Gennaio 2013: PREALPI BELLUNESI / TREVIGIANE, cresta del monte Cesén (m 1570), malga Mariéch (m 1526).

Calda, in certi tratti quasi afosa giornata dell’Epifania sulle Prealpi bellunesi / trevigiane, versante meridionale, pressoché prive di neve. Partenza a piedi da Pianezze (m 1075) sopra Valdobbiadene, alla volta di monte Orsère e monte Barbària, con la sua selva di inquietanti antenne. Prosecuzione per malga Mariéch e la cresta del Cesén. Rinuncia al prolungamento per rifugio Posa Punèr, a causa dell’ora tarda e delle giornate brevi. Ritorno a valle lungo la strada asfaltata e poi su sentiero, su lunga pala erbosa ricoperta di loppa. Circa 500 metri di dislivello, meteo sereno soprattutto a settentrione con molta nebbia verso sud. Temperatura calda in modo anomalo come ormai da due settimane, con neve e ghiaccio in piena fusione. Sul monte Barbària ci teniamo a prudente distanza da una fitta foresta di antenne per telecomunicazioni, peraltro salvaguardata da minacciosi cartelli con testo intimidatorio rivolto ai trasgressori del divieto di accesso all’area recintata. Nel cielo sopra di noi, viene avvistata nel primo pomeriggio l’ormai familiare flotta di mongolfiere che un paio di volte l’anno compie una traversata in direzione nord-sud. Molti solchi ed arature lasciati dai cinghiali lungo tutta la cresta del monte Cesén.

sabato 5 gennaio 2013

OMAGGIO ALLA STANGA


Un'immagine d'epoca del ristorante Alla Stanga
Prima ancora che un ristorante ed una locanda storica, un luogo dell’anima; un punto di partenza per escursioni e scalate sui monti della valle del Cordevole, oppure una sosta per i viaggiatori di passaggio tra la Valbelluna e l’Agordino; lo sguardo che si perde ipnotizzato nella guizzante fiamma dell’antico larìn, caratteristico caminetto delle case bellunesi, mentre dalle pareti vetusti trofei di camosci e caprioli richiamano alla memoria epiche avventure di caccia su queste montagne così aspre e dure.

Presso il ristorante Alla Stanga, da poco inserito nella lista dei locali storici del Veneto, è facile sentirsi un po’ come a casa propria. Non si tratta di pubblicità. Lo sapeva infatti già bene anche lo scrittore ed alpinista bellunese Piero Rossi, che negli anni Settanta del secolo scorso descriveva in questo modo il Canal d’Agordo:

La valle è quasi disabitata. Si incontra solo qualche casa sparsa, poi, dopo lo sbocco di Val di Piero, l’antica locanda de La Stanga (posta di cavalli), dove continua la tradizione di una meravigliosa cucina valligiana, tramandata dalle sorelle Zanella, due straordinarie vecchine, che accoglievano l’ospite in malo modo: «No avón gnént ancói, andé magnàr in Àgort, che magné mejo!»(1). Bastava conoscerle ed aver pazienza e si gustavano leccornie impareggiabili! Ed anche oggi…

E ancora, nel seguente passaggio:

La locanda Alla Stanga è stata, fin dai tempi dei primi pionieri della Schiara, una tappa d’obbligo, simpaticamente ricordata negli scritti del Tomè, del Merzbacher, del Vinanti, ecc. Essa venne attivata nel 1850 dai fratelli Carlo e Giuseppe Zanella, che avevano assunto l’appalto dell’Imperial Regio servizio postale, fra Belluno ed Agordo. La locanda serviva anche da esattoria del pedaggio (donde il nome). Ne curò la gestione, sino al 1901, epoca della sua morte, Giuseppe Zanella, considerato il miglior cacciatore di camosci della zona. Nel 1901 subentrò il fratello Carlo, anch’egli famoso cacciatore. Con lui collaborarono i nipoti, eredi di Giuseppe, che poi tennero alta la rinomanza della casalinga cucina, sino ai nostri giorni. In particolare, Domanico, detto Meneghéto, esperto cantiniere (1891-1965), Rosina (1873-1971) e Maria (1886-1972), veri numi tutelari del famoso foghèr o larìn della Stanga, fin in più che veneranda età, note e care ad intere generazioni di alpinisti(2).

Poco tempo fa, il locale oggi gestito da Patrizia e Luca è anche comparso nel prologo del libro a fumetti Ararat, la montagna del mistero del disegnatore Paolo Cossi, dove i protagonisti della storia ambientata tra Italia ed Armenia dialogano tra loro circondati da pittoresche comparse che ricordano la fisionomia di alcuni personaggi della storia dell’alpinismo. Ancora più di recente, le vicende che hanno interessato la locanda costruita da Andrea Segato - fratello del più conosciuto Girolamo - e le diverse generazioni di gestori l’ultimo secolo e mezzo (l’albergo è stato edificato nello stesso periodo dell’unità d’Italia) sono state raccontate nel volume monografico La Stanga di Sedico, storia di una località, di un albergo e di Giuseppe Zanella straordinario imprenditore (autore Gianni De Vecchi, Edizioni DBS, Rasai di Seren del Grappa, novembre 2012). Il libro, per quanti fossero interessati, è in vendita presso il locale.

(1) Traduzione dal dialetto bellunese – agordino: «Non abbiamo niente oggi, andate a mangiare ad Agordo, che mangerete meglio!». Brano tratto da Piero Rossi, IL PARCO NAZIONALE DELLE DOLOMITI, Belluno, Nuovi Sentieri Editore, 1976.
(2) Citazione da Piero Rossi, SCHIARA, collana Guida dei Monti d’Italia, edizioni CAI-TCI, Milano, 1982.