sabato 26 novembre 2011

COL PIEDE LEGGERO, A NOTTE FONDA

Dopo innumerevoli sollecitazioni avanzate dagli amici nel corso degli anni, Franco si è infine deciso ad inserire nella sua collezione di diapositive alcune immagini del proprio laboratorio – museo domestico. L'esito è a dir poco dirompente: davanti ad una carrellata di serpenti piumati, bassorilievi di foggia precolombiana e profili risorgimentali ricavati dal legno, il pubblico di Castelfranco Veneto intervenuto per l'ennesima presentazione di “Pareti del cielo” resta quasi sgomento. I pochi commenti che riesco a cogliere dalla mia posizione privilegiata di tecnico informatico spaziano tra il «Ma come avrà fatto?» ed un più incredulo «Non è possibile».

Attendo a questo punto una prevedibile levata di scudi da parte degli storici antagonisti dell'Uomo dei Viàz, che di sicuro non potranno fare a meno di esprimere il loro punto di vista. Provo ad anticiparli: «Quei mobili non sono mica autentici, si vede benissimo dal riflesso del legno che sono stati acquistati in svendita all'Ikea»; «Sono sculture piene di veleno, non le lascerò mai ammirare a mio figlio»; «La scienza e la biomatematica sono concordi nel ritenere impossibile l'esistenza di intarsi siffatti». Abbastanza plausibile? Mah, vedremo.

Scherzi a parte, la serata di venerdì scorso a Treville di Castelfranco è veramente di quelle che lasciano un bel ricordo. I padroni di casa Vittorino e Piera si raccomandano fin dall'inizio che entro le ventitré sarebbe opportuno chiudere lo spettacolo. Non si sa mai, la gente potrebbe stancarsi. «Lasciate fare a me e non preoccupatevi», li rassicura Franco ostentando cognizione di causa: dopodiché, sull'onda dell'entusiasmo, il Nostro perde il senso del tempo e si giunge quasi a sfiorare le ore piccole. Ma nessuno sembra prendersela.

Tutti i timori sono immotivati: la platea è silenziosa e concentrata, con l'eccezione dell'abituale applauso quando Franco racconta l'episodio dell'addio alla caccia. L'argomento principe di queste serate è il Viàz dei camòrz e dei camorziéri sul gruppo della Schiara, lo stesso itinerario che qualcuno con imprudenza si è sbilanciato a definire «percorso di morte». Bestialità del genere sono di casa soltanto in bocca ai politici: sono sufficienti le fotografie e le parole di Franco per rendere evidente lo straordinario volto di queste montagne, bello e terribile ad un tempo. Ma per comprenderlo appieno bisognerebbe avere il fegato di andare a metterci il naso in prima persona, e non tutti dispongono purtroppo della necessaria e proverbiale dote del piede leggero.

La conferenza è quasi terminata. Prima di restituire il microfono a Vittorino, Franco si congeda dal pubblico recitando a memoria il leopardiano «Sempre caro mi fu quest'ermo colle», mentre Alessio Roverato sale sul palco per un breve saluto. Ci attende il ristorante del grande Beppe, e soprattutto la sua speciale torta di noci. Poi, prima di ritornare in terra dolomitica, dovremo affrontare un numero imprecisato di insidiose rotonde che prolificano a vista d'occhio sulla marca trevigiana.